Ti gettano terra addosso… ma tu puoi batterla.
Quando tutto sembra seppellirti, puoi ancora usare ogni colpo come un passo verso l’alto.
Non sempre ricordo i volti, ma certe storie mi restano addosso come la polvere sulle scarpe dopo un lungo cammino.
Carlos lo incontrai lungo la via francese del Cammino di Santiago. Era uno di quei pellegrini solitari che si riconoscono subito: zaino consumato, occhi che sanno benissimo dove guardare. Aveva un passo calmo, come se conoscesse il ritmo giusto per arrivare, senza fretta. Con lui si parlava poco, ma ogni parola trovava posto.
Verso l’ora di pranzo ci ritrovammo seduti su un muretto, al margine della strada, mangiando pane, formaggio e noci. Parlammo di scarpe rotte, di ginocchia che scricchiolano, di silenzi che diventano compagnia. Poi, quando vide che i miei pensieri stavano correndo più dei miei piedi, mi disse:
“Sai la storia dell’asino e del pozzo? Me la raccontarono anni fa, in un rifugio poco distante da Oviedo, nei monti delle Asturie. E da allora, ogni volta che sento di cedere, me la ripeto.”
Non so bene se lo fece per aiutarmi, o solo perché aveva imparato che alcune storie, se non le consegni a qualcun altro, si perdono.
Ma eccola, com’era. Com’è ancora.
“Un contadino viveva in un villaggio quieto, stretto tra colline e stagioni. Aveva mani grandi, segnate dal lavoro e un modo di parlare lento, come chi ascolta la terra.
Il suo asino era con lui da una vita. Non era più giovane, ma aveva la pazienza degli animali che hanno imparato a capire gli umori del padrone. Aveva portato legna, trascinato sacchi, arato la terra sotto il sole e sotto la pioggia. Non si era mai lamentato.
Un mattino qualunque, il contadino sentì un raglio spezzato, poi il tonfo sordo di qualcosa che cade! Corse fuori e lo vide: l’asino era finito in un vecchio pozzo dismesso, profondo, scavato anni prima e ormai dimenticato. Era in piedi sul fondo, coperto di polvere, lo sguardo spaventato, ma docile. Come se sapesse che, in fondo, sarebbe andata così.
Il contadino provò a calare una corda, a pensare a un modo per salvarlo. Ma più lo guardava, più si convinceva che non ce l’avrebbe fatta. Era stanco. L’asino era vecchio. E anche il pozzo, ormai, era solo un buco da tappare. Così chiamò i vicini.
Gli disse che lo avrebbero seppellito lì. Che era la cosa più pietosa da fare. Uno dopo l’altro, arrivarono con le pale.
Cominciarono a gettare terra nel pozzo.
L’asino capì. Abbassò le orecchie e smise di ragliare, come rassegnato a quel destino.
La prima terra gli coprì le zampe. Poi la pancia. E giù un altro strato. Un altro ancora. Sembrava che stesse aspettando il peggio. Ma poi, accadde qualcosa.
Con un gesto improvviso e testardo, l’asino si scrollò di dosso la terra, batté gli zoccoli sul fondo, lo livellò e ci salì sopra. Nessuno ci fece caso, all’inizio. Pensarono fosse un sussulto. Ma alla palata successiva, fece lo stesso. Scosse via la terra di dosso. La pressò sotto le zampe e ci salì sopra.
Palata dopo palata. Scrollarsi. Battere. Salire.
A un certo punto, scorgendo sul bordo del pozzo le orecchie all’insù, i vicini si fermarono. Il contadino, incredulo, smise di scavare.
Guardavano tutti, in silenzio, quel vecchio asino trasformare la sua condanna in un gradino.
Con le orecchie basse e il respiro corto, uscì dal pozzo con un salto. Camminò avanti, un passo alla volta. Non si voltò. Non ragliò. Solo si allontanò, come se niente fosse.”
Francesco abbassò lo sguardo, sorrise, si aggiustò il cappello e, rivolgendosi a me, concluse:
“A volte pensi che ti stiano seppellendo. In realtà ti stanno insegnando come risalire.”
Da quel giorno, quella storia mi cammina accanto.
Non è una favola. È un promemoria.
Un invito a battere la terra, a farne appoggio, non peso.
A trasformare ogni difficoltà in materia viva. Di vita.
Non sempre ci riesco, ma ora so che anche la fatica ha una forma di saggezza. Anche il dolore, se attraversato, può diventare un gradino.
Non è ottimismo. È artigianato dell’anima.
Ogni palata può essere l’ultima, o la prima di una risalita.
Certe volte la vita non ti aiuta. Ma ti allena.
E in quel silenzio tra il fondo e l’uscita, mentre impari a salire, scopri qualcosa che non ti aspettavi di trovare: non chi sei, ma cosa puoi ancora diventare.
E lì, nel gesto antico di resilienza, mentre scuoti via la terra di dosso e ti sollevi, non c’è più pozzo, né contadino.
C’è solo la dignità di chi sceglie di non arrendersi.
Sono Samuel Lo Gioco e qui esploro il legame tra psicologia positiva, leadership emotiva e work-life balance.
Attraverso storie, riflessioni e narrazione, ti accompagno in un viaggio di consapevolezza per riscoprire un modo più umano di vivere e lavorare.
Se questa newsletter ha risuonato da qualche parte dentro di te, forse è il momento di fare un passo in più.
Formazione Cognitiva è il progetto che raccoglie tutto questo in un percorso concreto:
C’è una lista d’attesa (senza impegno) per chi vuole ricevere informazioni in anteprima e capire se è il momento giusto per iniziare un cambiamento.